Il Ministero del lavoro, nel rispondere a una istanza di chiarimenti del Consiglio Nazionale dell’Ordine dei Consulenti del Lavoro, fornisce alcune precisazioni in merito alle indicazioni contenute nella circolare ministeriale n. 6/2025, relative alla procedura di dimissioni per fatti concludenti, prevista dall’articolo 19 della legge n. 203/2024 (cd. Collegato lavoro; cfr. comunicazione Ance del 31 marzo scorso).
Innanzitutto, si ricorda che il citato articolo 19 ha introdotto, nell’articolo26 del d.lgs. n. 151/2015, il seguente comma 7-bis: “In caso di assenza ingiustificata del lavoratore protratta oltre il termine previsto dal contratto collettivo nazionale di lavoro applicato al rapporto di lavoro o, in mancanza di previsione contrattuale, superiore a quindici giorni, il datore di lavoro ne dà comunicazione alla sede territoriale dell’Ispettorato nazionale del lavoro, che può verificare la veridicità della comunicazione medesima. Il rapporto di lavoro si intende risolto per volontà del lavoratore e non si applica la disciplina prevista dal presente articolo. Le disposizioni del secondo periodo non si applicano se il lavoratore dimostra l’impossibilità, per causa di forza maggiore o per fatto imputabile al datore di lavoro, di comunicare i motivi che giustificano la sua assenza”.
Nella richiesta di chiarimenti, il Consiglio Nazionale dell’Ordine dei Consulenti del Lavoro ritiene che il limite legale di quindici giorni di assenza ingiustificata dovrebbe avere natura residuale e operare solo in mancanza di previsioni nel CCNL. La contrattazione collettiva potrebbe, quindi, individuare limiti minimi inferiori a detto termine, in quanto la legge le avrebbe attribuito la libertà di determinare il termine superato il quale opera la disciplina delle dimissioni per fatti concludenti.
In merito, il Ministero del lavoro conferma l’operatività del limite legale in via residuale; tuttavia, nel ribadire la propria interpretazione prudenziale della nuova disciplina, afferma la non prevedibilità di termini inferiori da parte della contrattazione collettiva.
Al riguardo, benché il tenore letterale del citato articolo 19 non disponga espressamente l’inderogabilità del termine di quindici giorni, il Dicastero chiarisce che la norma non consente interpretazioni peggiorative della posizione del lavoratore. Pertanto, è necessario contemperare il principio della libertà contrattuale delle parti sociali con l’esigenza di tutela del lavoratore da una definitiva espulsione dal contesto lavorativo priva di una adeguata giustificazione, al fine di evitare effetti abusivi o distorsivi sul rapporto di lavoro.
Secondo il Ministero del lavoro, se l’articolo 19 non stabilisse alcun minimo inderogabile e consentisse alla contrattazione collettiva di ridurre liberamente il termine di quindici giorni di assenza ingiustificata, le parti sociali potrebbero fissare una durata minima, anche esigua, tale da non porre il lavoratore nelle condizioni di giustificare tempestivamente le ragioni dell’assenza, riconducendo in tal modo l’effetto risolutivo a un comportamento del lavoratore privo di un effettivo valore legale.
In ogni caso, il Dicastero, qualora si consolidassero interpretazioni giurisprudenziali difformi sul punto, si riserva di rivedere la soluzione sopra riportata.
In secondo luogo, il Consiglio Nazionale dell’Ordine dei Consulenti del Lavoro chiede chiarimenti su quali siano le conseguenze nel caso in cui il datore di lavoro non proceda al ripristino del rapporto di lavoro, ritenendo insufficiente la prova offerta dal lavoratore o non condividendo la verifica dell’Ispettorato o ancora nell’ipotesi di presentazione delle dimissioni per giusta causa successivamente alla procedura in esame.
Al riguardo, per il Dicastero, è necessario distinguere le diverse ipotesi prospettate, tutte riconducibili ad una digressione dallo sviluppo dell’iter fisiologico previsto dalla norma. Pertanto:
a) qualora, superato il termine per l’assenza ingiustificata e comunicata la circostanza all’Ispettorato territorialmente competente, quest’ultimo verifichi l’insussistenza dei presupposti richiesti dal citato comma 7 bis, il rapporto di lavoro dovrà pur sempre essere ricostituito per iniziativa del datore di lavoro. Nel caso in cui quest’ultimo ritenga comunque non valide le ragioni del lavoratore, il Dicastero ritiene che non possa operare alcuna automaticità della ricostituzione del rapporto di lavoro;
b) nel caso in cui il lavoratore – successivamente all’avvio della procedura di cui al nuovo comma 7 bis, ma prima che la stessa abbia prodotto il suo effetto dismissivo – comunichi le proprie dimissioni, queste ultime produrranno gli effetti previsti dalla legge dal momento del loro perfezionamento. Nell’eventualità, poi, che le dimissioni siano state rassegnate per giusta causa, la verifica della sussistenza delle ragioni sottostanti l’atto di recesso del lavoratore potrà essere oggetto di successivo contraddittorio tra le parti, presso le sedi consuete, compresa quella giudiziale.