A partire dal 1° giugno 2021, data di entrata in vigore del decreto-legge 77/2021, che ha sostituito il comma 13ter dell’articolo 119 del DL 34/2020, gli interventi agevolabili con il Superbonus, ad esclusione unicamente di quelli che prevedono la demolizione e ricostruzione degli edifici, rientrano nella categoria della manutenzione straordinaria e sono eseguibili previa presentazione di una Comunicazione d’inizio lavori asseverata (c.d. CILA-Superbonus). Ciò è necessario anche per gli interventi ricadenti in attività libera per i quali, tuttavia, nella speciale modulistica è sufficiente una mera descrizione dell’intervento senza allegare relazioni o grafici illustrativi.
Per la presentazione della Cila-Superbonus è, stato, infatti, previsto un modello unificato, approvato in sede di Conferenza Unificata del 4 agosto 2021 e operativo dal giorno successivo, utilizzabile solo per gli interventi che accedono al Superbonus di cui all’articolo 119 DL n. 34/2020 e non per i cd. Bonus minori. Naturalmente, a prescindere dall’utilizzo della speciale modulistica, la disciplina riguardante la presentazione della CILA non presenta profili di diversità, a livello di disciplina procedurale, dal regime ordinario.
Cominciano nel frattempo ad emergere le prime questioni risolte dalla giurisprudenza sulle quali di seguito si svolgerà una analisi commentata.
Per quanto riguarda l’ambito applicativo recentemente il Tar Salerno n. 75/2024 ha affermato che un intervento di demolizione e ricostruzione di parti di un edificio (nella specie si trattava di una sostituzione di consistenti porzioni strutturali, necessaria ai fini della corretta esecuzione di un progetto di efficientamento energetico e adeguamento antisismico) può essere legittimata attraverso la Cila-Superbonus. Quindi per i giudici campani anche laddove l’intervento abbia incidenza sulle parti strutturali degli edifici o sui prospetti il titolo abilitativo resta la CILAS in quanto non comportante, in ogni caso, una demolizione e ricostruzione integrale. Tale chiarimento rappresenta un primo pronunciamento importante in quanto il richiamato comma 13-ter dell’articolo 119 DL n. 34/2020 fa sorgere dei dubbi in merito all’utilizzo della CILAS per interventi di parziale demolizione che sono peraltro frequenti soprattutto per le opere di miglioramento/rafforzamento sismico. Tali indicazioni vanno nella direzione dell’interpretazione sempre sostenuta da ANCE.
In materia di controlli, invece, il Tar Calabria (sentenza n. 1602/2023), confermando un orientamento piuttosto consolidato, ha sostenuto che per un intervento edilizio eseguito con Cilas, l’unico potere che detiene l’Amministrazione è quello repressivo. Tale potere si esplica nel caso in cui l’intervento sia stato eseguito al di fuori dei casi per cui il legislatore ha previsto la Cilas. Di conseguenza, l’Amministrazione non ha il potere di verifica e inibizione dell’intervento sottoposto a CILA ma solo quello di reprimere gli abusi, perché:
Tuttavia, proprio in riferimento a tale ultimo aspetto, un diverso orientamento è stato espresso, sempre di recente, dal Tar Lazio che con la sentenza n. 18386/2023 ha ritenuto che “restano in ogni caso fermi in capo al Comune, e devono essere doverosamente esercitati, i generali poteri di vigilanza e repressione in materia urbanistico-edilizia di cui all’art. 27, commi 1 e 2, del d.P.R. n. 380 del 2001 (…) l’ente locale, rilevato che i lavori per i quali era stata presentata la CILAS riguardavano un fabbricato interessato da difformità edilizie rispetto all’originario titolo abilitativo, ha inteso agire tempestivamente affinché non si consolidasse un’ulteriore situazione di abuso, disponendo “il divieto di prosecuzione dei lavori e il ripristino di quanto già eventualmente realizzato”” . Con tale pronuncia quindi il Tribunale ha ritenuto corretto l’operato del Comune che ha sospeso l’efficacia della CILAS.
Al di là di questa pronuncia che rappresenta ancora un orientamento isolato appare utile richiamare un’altra importante sentenza (Tar Campania sent. n. 2627/2022) riferita più in generale al regime della CILA, che sul punto sostiene che “l’attività assoggettata a CILA non solo è libera, come nei casi di SCIA, ma, a differenza di quest’ultima, non è sottoposta a un controllo sistematico, da espletare sulla base di procedimenti formali e di tempistiche perentorie, ma deve essere soltanto conosciuta dall’amministrazione, affinché essa possa verificare che, effettivamente, le opere progettate importino un impatto modesto sul territorio”.
Diversamente il Consiglio di Stato, (sentenza. n. 4110/2023) ha affermato che alla CILA si applicano i principi che si sono consolidati in materia di SCIA in quanto “la mancata previsione di sistematicità dei controlli rischia di tradursi in un sostanziale pregiudizio per il privato, che non vedrebbe mai stabilizzarsi la legittimità del proprio progetto, di talché la presentazione della CILA, considerata anche la modesta entità della sanzione per la sua omissione, avrebbe in sostanza l’unico effetto di attirare l’attenzione dell’amministrazione sull’intervento, esponendolo ad libitum, in caso di errore sul contesto tecnico-normativo di riferimento, alle più gravi sanzioni per l’attività totalmente abusiva, che l’ordinamento correttamente esclude quando l’amministrazione abbia omesso di esercitare i dovuti controlli ordinari di legittimità sulla SCIA o sull’istanza di permesso”.