La Corte di Cassazione è intervenuta con due recenti sentenze in materia di gestione dei rifiuti, fornendo alcuni chiarimenti in merito alla responsabilità penale in caso di delega di funzioni e alla qualifica di titolare di impresa, nel caso di reati ambientali.
Sotto il primo profilo, la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 33372/2023, ha ribadito che il conferimento di una delega in materia ambientale non esclude in alcun modo l’obbligo di vigilanza in capo ai deleganti, i quali svolgono un importante ruolo di garanzia, soprattutto se le inosservanze consistono in condotte facilmente oggetto di verifica da parte di quest’ultimi o, comunque, da essi percepibili.
Per questo, in caso di mancato rispetto della normativa ambientale e di un inadeguato esercizio della delega, laddove sia dimostrata la mancanza di una corretta attività di controllo e vigilanza, secondo i giudici permane in capo al delegante la responsabilità penale dell’illecito commesso, ai sensi dell’art. 40, comma 2, c.p.
Con riferimento, invece, alla qualifica di “titolare d’impresa”, rilevante ai fini del reato di abbandono di rifiuti, di cui all’art. 256, commi 1, lett. a), e 2, d.lgs. n. 152/2006, la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 33410/2023, ha sottolineato che il fattore determinante è il tipo di attività svolta.
Secondo la Corte, quindi, è titolare d’impresa, qualsiasi soggetto che di fatto svolge una attività economica e imprenditoriale, indipendentemente dalla circostanza che sia o meno formalmente iscritto nel registro delle imprese e che l’attività sia o no registrata.