Le regioni non possono includere clausole “territoriali” restrittive nei loro avvisi di manifestazione di interesse per favorire le imprese con sede legale nel proprio territorio. Questa pratica viola i principi fondamentali di libera concorrenza e parità di trattamento, così come il buon andamento dell’amministrazione pubblica nonché del codice dei contratti pubblici
È quanto deciso dall’Autorità Nazionale Anticorruzione (ANAC), che con l’Atto del Presidente del 12 maggio 2023 (fasc.5705.2022) ha censurato una gara per l’affidamento dei lavori di restauro conservativo dei dipinti delle facciate del Cortile del Castello di Issogne in Valle d’Aosta di importo pari a 2.500.000,00 euro, in cui era prevista la selezione dei soggetti da invitare, con estrazione a sorteggio pubblico, tenendo conto della diversa dislocazione territoriale delle imprese.
La questione del cd. “localismo” ha interessato negli ultimi anni la giurisprudenza, anche costituzionale. La tematica è stata, infatti, affrontata sia con riferimento alla possibilità di introdurre delle limitazioni all’invito di imprese eterne al territorio di riferimento, sia con riferimento alla possibilità di introdurre meccanismi premiali nell’offerta economicamente più vantaggiosa a favore lelle imprese locali.
Riguardo al primo aspetto, la giurisprudenza amministrativa si è espressa a favore di una scelta per l’invito che privilegia le imprese locali, laddove i criteri di localizzazione territoriale dell’impresa siano “attinenti alle reali esigenze di esecuzione del contratto” e tenuto altresì conto dell’importo dello stesso (Cons. Stato, sez. V, 20 agosto 2015, n. 3954).
Secondo tale ricostruzione, a determinare l’ammissibilità l’analisi complessiva delle circostanze complessive dell’intervento, è la maggiore funzionalità all’intervento dato dal coinvolgimento di aziende dislocate sul territorio, a patto che ciò non evidenzi una finalità elusiva della concorrenza.
Infatti, in mancanza di una reale giustificazione funzionale, la localizzazione territoriale dell’impresa rappresenta uno dei criteri capaci di ostacolare i principi di libera concorrenza e di libertà di stabilimento, nonché di buona amministrazione, sanciti sia dalla Ue che dalla Carta costituzionale (v. Consiglio di Stato, Sez. V, 13 dicembre 2017, n. 5854).
Nei casi in cui la stazione appaltante abbia deciso di favorire le imprese dislocate sul territorio, occorre, quindi, quantomeno una valutazione “in concreto” relativa alla tipologia di lavorazioni che l’operatore è chiamato ad eseguire.
Da ciò, se ne deduce che non sussiste la possibilità di inserire clausole a protezione imprese locali, ma è possibile inserire clausole che tengano conto delle esigenze connesse all’esecuzione dei lavori.
In tal senso, è esplicativa la posizione espressa dalla Corte Costituzionale, che sebbene abbia fatto salva la «la possibilità di apprestare, in relazione ad attività a spiccata valenza sociale, un modello organizzativo ispirato non al principio di concorrenza ma a quello di solidarietà» (Sent. n. 131 del 2020), ha altresì censurato un meccanismo che premiava in offerta le imprese che si impegnavano all’affidamento dell’esecuzione in subappalto MPMI localizzate sul territorio provinciale e all’acquisizione di forniture da MPMI sul territorio provinciale (Sent. n. 23 del 2022). Ciò in ragione della centralità del principio di non discriminazione, previsto quale principio fondante delle direttive UE in materia, e volto allo sviluppo di una concorrenza effettiva sul mercato.
La SA è quindi tenuta ad avvalersi di criteri connotati dai principi di oggettività e di attinenza alla natura, all’oggetto e alle caratteristiche dell’appalto. Di contro, non le è consentito prevedere una riserva o comunque criteri che favoriscano la partecipazione a favore di imprese locali, introducendo una discriminazione tra imprese regionali ed extraregionali interessate a partecipare all’appalto, che senza incidere sulla qualità dell’offerta violino i principi di non discriminazione, parità di trattamento e proporzionalità previsti dalla disciplina (nazionale) agli articoli 30, comma 1, e 36, comma 2, del d. lgs. 50/2016 (vedi anche sent. nn. 28/2013; 440/2006; 221 e 83 del 2018; 190/2014).
Nel caso specifico, la Regione Autonoma Valle d’Aosta aveva previsto, nell’avviso di manifestazione d’interesse, che in caso di più di dieci operatori interessati, la selezione sarebbe avvenuta tramite estrazione a sorteggio pubblico, privilegiando cinque operatori con sede legale in Valle d’Aosta e cinque con sede legale nel resto d’Italia e d’Europa.
A tale riguardo, l’ANAC ha contestato questa previsione, sottolineando che l’utilizzo del solo criterio della sede legale e la limitazione alla partecipazione ai soli operatori con sede legale nella Regione Valle d’Aosta non rispondono al criterio di presenza sul territorio indicato dal legislatore e possono costituire una restrizione ingiustificata alla concorrenza.
In particolare, l’ANAC ha evidenziato che la scelta della diversa dislocazione territoriale dovrebbe essere adeguatamente motivata, ossia essere funzionale all’appalto, e garantire il rispetto del principio comunitario di non discriminazione.
Proprio per tali motivi, la stessa ANAC metteva in rilievo l’incongruenza di aver invitato le sole ditte aventi ‘‘sede legale’’ nella Regione Valle d’Aosta non anche a quelle aventi sede operativa nella stessa. In quest’ultimo caso, la regione avrebbe dimostrato la l’effettiva necessità, in presenza dell’emergenza sanitaria del COVID-19, di contenere gli spostamenti, e quindi di “rivolgersi ad operatori dotati di una sede operativa presente sul territorio delimitato a prescindere dal fatto che la sede legale sia collocata altrove’’ (nota a firma del Presidente dell’ANAC fasc. n. 3700/2021).
Di contro, l’utilizzo del solo criterio formale della sede legale – con conseguente esclusione delle ditte aventi sede operativa nella Regione Valle d’Aosta – poco risponde al criterio della presenza sul territorio risulta immotivato e quindi incapace di garantire il rispetto del principio comunitario di non discriminazione.