Con circolare 3 febbraio 2023, n. 14, l’INPS ha comunicato che, per il 2023, la retribuzione da prendere a riferimento per il calcolo delle indennità di disoccupazione NASpI è pari a 1.352,19 €. L’importo massimo mensile di detta indennità, per la quale non opera la riduzione di cui all’articolo 26 della legge n. 41/1986, non può in ogni caso superare, per il 2023, 1.470,99 €.
Pertanto, alla luce di tali importi, il contributo da versare nel caso di interruzione del rapporto di lavoro di cui sopra è pari a 603,10 € per ogni dodici mesi di anzianità aziendale, con un massimo, quindi, di 1.809,30 € per i rapporti di lavoro di durata pari o superiore a 36 mesi.
Si ricorda che con la Legge 28 giugno 2021, n. 92 (c.d. Legge Fornero) è stato disciplinato il c.d. ticket di licenziamento, stabilendo che, a decorrere dal 1° gennaio 2013, nei casi di interruzione di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato per le causali che darebbero diritto alla NASpI, i datori di lavoro sono tenuti a versare all’INPS una somma pari al 41% del massimale mensile della medesima NASpI per ogni dodici mesi di anzianità aziendale negli ultimi tre anni.La disciplina che regola la materia, così come riassunta dall’INPS, nella circolare n. 40 del 19 marzo 2020.
Il contributo è scollegato dall’importo della prestazione individuale e, conseguentemente, lo stesso è dovuto in misura identica a prescindere dalla tipologia di lavoro, che esso sia part-time o full-time.
Se la prestazione lavorativa è stata inferiore all’annualità, il ticket va riparametrato in base agli effettivi mesi di lavoro. Va considerata come intera mensilità quella in cui la prestazione lavorativa si sia protratta per almeno 15 giorni, ma i mesi di lavoro diversi dal primo e dall’ultimo devono essere considerati mesi interi, indipendentemente dal numero di giornate lavorate.
Cessazioni per le quali il contributo è dovuto
Il contributo è dovuto in tutti i casi in cui la cessazione del rapporto di lavoro genera, in capo al lavoratore, il teorico diritto alla NASpI, a prescindere dall’effettiva percezione della stessa.
Pertanto, la contribuzione è dovuta nei casi di cessazione del rapporto di lavoro a tempo indeterminato a seguito di licenziamento:
Il contributo è altresì dovuto nei seguenti casi:
Casi di esclusione dall’obbligo di versamento del contributo
Sono escluse le cessazione del rapporto dovute a:
Si precisa, inoltre, che l’interruzione del rapporto di lavoro a tempo indeterminato del dipendente già pensionato non comporta l’obbligo contributivo in argomento.
Analogamente, l’obbligo di pagamento del c.d. ticket di licenziamento per le interruzioni dei rapporti di lavoro a tempo indeterminato non sussiste se il lavoratore che cessi il rapporto di lavoro maturi il diritto alla pensione dal giorno successivo all’interruzione del rapporto di lavoro. Al contrario, qualora sussista per il lavoratore il teorico diritto alla NASpI sino alla decorrenza della pensione, il datore di lavoro è tenuto all’obbligo contributivo in argomento. Il datore di lavoro è tenuto al versamento del ticket anche qualora all’interruzione del rapporto di lavoro a tempo indeterminato segua l’accesso ad una delle prestazioni pensionistiche quali opzione per il regime sperimentale donna, totalizzazione, ricongiunzione o totalizzazione di periodi contributivi esteri, pensione quota 100.
Al fine di individuare i lavoratori per i quali, nei casi sopra illustrati, non ricorre l’obbligo del versamento del contributo e, quindi, per la corretta gestione delle fattispecie di esonero dall’obbligo di versamento dello stesso, è necessario che il datore di lavoro valorizzi in <DenunciaIndividuale>, l’elemento <Cessazione>, indicando in <GiornoCessazione> il giorno dell’avvenuta cessazione del rapporto di lavoro, e nell’elemento <TipoCessazione> i codici di cessazione sopra indicati e riepilogati nella citata circolare n. 40 del 19 marzo 2020.
Interruzione di rapporto di lavoro nel settore delle costruzioni edili
Con specifico riguardo ai casi di interruzione del rapporto di lavoro a tempo indeterminato nel settore delle costruzioni edili per completamento delle attività e chiusura del cantiere, l’Istituto, nella citata circolare n. 40/2020 ha ribadito che, ai sensi dell’articolo 2, comma 34, lett. b), della legge n. 92/2012, il contributo di licenziamento non è dovuto.
L’Istituto ha inoltre specificato che tale licenziamento è riconducibile alla fattispecie del licenziamento per giustificato motivo oggettivo. Alla luce di ciò, conformemente a quanto ritenuto dalla giurisprudenza, anche in questa fattispecie, è possibile procedere al licenziamento solo allorquando il lavoratore non possa essere utilizzato su posizioni di lavoro alternative, ossia presso altri cantieri nei quali è dislocata l’attività d’impresa .
L’Istituto, pertanto, ha chiarito che non trova applicazione l’esclusione dal versamento del contributo qualora il licenziamento, pur intimato per fine cantiere, non sia ritenuto legittimo in quanto il lavoratore medesimo poteva essere utilizzato nell’ambito dell’organizzazione aziendale.
Inoltre, l’Istituto ha ricordato che l’articolo 24, comma 4, della L. n. 223/1991 dispone che le procedure e le disposizioni in materia di licenziamenti collettivi non si applicano, tra le altre ipotesi, nei casi di “fine lavoro nelle costruzioni edili”.
Tale disposizione non opera nei casi in cui l’azienda intenda addivenire ad una riduzione del personale in servizio. Infatti, le ipotesi eccezionali previste dalla norma sopra richiamata sono relative a fattispecie nelle quali è esclusa ogni possibilità del datore di lavoro di scegliere il lavoratore da licenziare.
Si deve, quindi, ritenere che il contestuale licenziamento di più (ma non di tutti) i lavoratori adibiti ad un determinato cantiere “integra gli estremi di un giustificato motivo di licenziamento individuale, anche se plurimo, ai sensi della legge 15 luglio 1966, n. 604, art. 3”.
Al licenziamento plurimo, ossia non conseguente al “completamento delle attività e alla chiusura del cantiere”, non si applica l’esonero di cui all’articolo 2, comma 34, lett. b), della L. n. 92/2012.
Infine, l’INPS ha precisato che, qualora a seguito del licenziamento per fine cantiere, le parti avviino la procedura di conciliazione di cui all’articolo 7 della legge n. 604/66, l’esonero dal versamento del c.d. ticket di licenziamento trova applicazione soltanto nei casi in cui la procedura di conciliazione si concluda prevedendo la risoluzione del rapporto di lavoro a seguito del licenziamento intimato a titolo di fine cantiere.
Alla Struttura territoriale competente dell’Istituto spetta il controllo, al fine di appurare che i soggetti interessati dal licenziamento per fine cantiere siano stati esposti nel flusso Uniemens, sino alla data del licenziamento, come lavoratori in forza ad unità produttive cessate e/o sospese in data collimante con la data del licenziamento.
Da ultimo, rammentiamo, in caso di emissione di note di rettifica nei confronti di imprese del settore edile, con le quali l’Istituto contestasse il mancato versamento del contributo di licenziamento pur trattandosi di licenziamenti motivati da “fine cantiere o fine fase lavorativa”, il contenuto del messaggio dell’Istituto 24 ottobre 2018, n. 3933.
In tale messaggio, l’INPS ha, in particolare, individuato la documentazione ritenuta idonea a comprovare il completamento delle attività e la chiusura del cantiere quale causale della predetta interruzione.
Al riguardo, quindi, per dimostrare la sussistenza delle condizioni di esonero, alle aziende edili è sufficiente produrre, anche tramite la funzionalità “Contatti” del Cassetto previdenziale:
– la lettera di assunzione contenente l’indicazione relativa al cantiere e la mansione per la quale il lavoratore è stato assunto;
– la lettera di licenziamento da cui risulti la motivazione “fine cantiere o completamento lavori”, riportante anche la data di cessazione del rapporto di lavoro.
Entrambi i documenti devono riportare la firma per ricevuta del lavoratore; diversamente, in mancanza della consegna a mano, le aziende devono esibire copia della raccomandata.