Facendo seguito alla comunicazione Ance del 09 settembre scorso e del 21 settembre scorso, si trasmette in allegato il nuovo format di informativa predisposto dall’Ance in sinergia con Confindustria, che contiene le informazioni aggiuntive previste dall’art. 1 del d.lgs. 152/1997, come modificato dal Decreto trasparenza.
L’avvio di un nuovo gruppo di lavoro, coordinato da Confindustria, è stato reso necessario in seguito alla pubblicazione della circolare n. 19/2022, con la quale il Ministero del lavoro ha fornito indicazioni interpretative relative all’applicazione delle disposizioni del Decreto trasparenza. La circolare in questione ha infatti espresso orientamenti contrari rispetto a quanto precedentemente comunicato dall’INL nella circolare n. 4 del 10 agosto scorso, specialmente per quanto riguarda la possibilità di rinvio al CCNL.
Si illustrano di seguito i contenuti della predetta circolare ministeriale.
In premessa, il Ministero del lavoro ha ribadito quanto già rilevato nella circolare INL n. 4/2022: il datore di lavoro è tenuto a fornire al lavoratore le informazioni di base riferite ai singoli istituti di cui al nuovo articolo 1 del suddetto decreto legislativo n. 152, potendo rinviare per le informazioni di maggior dettaglio al contratto collettivo o ai documenti aziendali che devono essere consegnati o messi a disposizione del lavoratore secondo le prassi aziendali (cfr. Comunicazione Ance del 30 agosto scorso).
Tuttavia, il Ministero ha sottolineato che la ratio della riforma è quella di ampliare e rafforzare gli obblighi informativi, che devono essere calati nella concretezza del rapporto di lavoro. Pertanto, l’obbligo informativo non è assolto con l’astratto richiamo delle norme di legge che regolano gli istituti oggetto dell’informativa, bensì attraverso la comunicazione di come tali istituti, nel concreto, si atteggiano, nei limiti consentiti dalla legge, nel rapporto tra le parti, anche attraverso il richiamo della contrattazione collettiva applicabile al contratto di lavoro.
Congedi (art. 1, comma 1, lett. l), d.lgs. n. 152/1997)
La riforma ha previsto che il datore di lavoro debba informare il lavoratore sulla “durata del congedo per ferie, nonché degli altri congedi retribuiti cui ha diritto il lavoratore o, se ciò non può essere indicato all’atto dell’informazione, le modalità di determinazione e di fruizione degli stessi”.
Il Dicastero ha ribadito che l’obbligo informativo deve essere calato nella concretezza del rapporto di lavoro. Dunque, oltre ai generali ed essenziali richiami alla disciplina legale applicabile, il datore di lavoro deve fornire al lavoratore le indicazioni della disciplina contenuta nel contratto collettivo soggettivamente applicabile al rapporto.
Per quanto concerne la locuzione “altri congedi retributivi cui ha diritto il lavoratore”, il Ministero ha in primo luogo confermato che tale locuzione si riferisce, da come si evince dal tenore letterale, ai soli congedi per cui è prevista la corresponsione della retribuzione. In secondo luogo, il Dicastero ha chiarito che l’obbligo di informazione riguarda solo quelle astensioni espressamente qualificate dal legislatore come “congedo”.
Il Ministero ha poi elencato, a titolo esemplificativo, i seguenti congedi retribuiti previsti dalla legge:
Il Ministero ha poi ribadito nuovamente la necessità di tenere conto della disciplina prevista dal contratto collettivo.
Retribuzione (art. 1, comma 1, lett. n), d.lgs. n. 152/1997)
La riforma prevede che il datore abbia l’obbligo di indicare “l’importo iniziale della retribuzione o
comunque il compenso e i relativi elementi costitutivi, con l’indicazione del periodo e delle modalità di
pagamento”.
La suddetta formulazione fa riferimento a tutte quelle componenti della retribuzione di cui sia oggettivamente possibile la determinazione al momento dell’assunzione, secondo la disciplina di legge e di contratto collettivo.
In riferimento agli elementi variabili della retribuzione, il datore di lavoro, sulla scorta di quanto previsto da specifiche previsioni di contratto collettivo soggettivamente applicabili al rapporto, deve indicare i criteri in base ai quali tali elementi variabili saranno riconosciuti e corrisposti.
Il Dicastero ha inoltre chiarito che le eventuali misure di welfare aziendale e il buono pasto non rientrano ordinariamente nell’assetto retributivo e pertanto non sono oggetto dell’informativa, salvo che non siano previste dalla contrattazione collettiva o dalle prassi aziendali come componenti dell’assetto retributivo.
Orario di lavoro programmato (art. 1, comma 1, lett. o), d.lgs. n. 152/1997)
La riforma prevede che il datore di lavoro debba informare il lavoratore su “la programmazione dell’orario normale di lavoro e le eventuali condizioni relative al lavoro straordinario e alla sua retribuzione, nonché le eventuali condizioni per i cambiamenti di turno, se il contratto di lavoro prevede un’organizzazione dell’orario di lavoro in tutto o in gran parte prevedibile”.
Nel dettaglio, le informazioni, più che la disciplina generale legale, devono riguardare soprattutto i riferimenti al contratto collettivo nazionale e agli eventuali accordi aziendali che regolano il tema dell’orario nel luogo di lavoro.
Il Ministero ha specificato che le informazioni devono essere incentrate sulla concreta articolazione dell’orario di lavoro applicata al dipendente, sulle condizioni dei cambiamenti di turno, sulle modalità e sui limiti di espletamento del lavoro straordinario e sulla relativa retribuzione.
Nel caso di variazioni dell’orario di lavoro intervenute successivamente, l’informativa è necessaria solo se le modifiche incidono sull’orario di lavoro in via strutturale o per un arco temporale significativo, fermo restando il rispetto della legge e del contratto collettivo soggettivamente applicabile al rapporto di lavoro.
Il Ministero ha poi precisato che rientrano nella definizione del lavoro prevedibile anche le ipotesi di lavoro a turni e di lavoro multi-periodale. In questi casi è sufficiente indicare che il lavoratore viene inserito in detta articolazione oraria e rendere note le modalità con cui allo stesso saranno fornite informazioni in materia.
Nella nozione di lavoro prevedibile rientra anche l’orario di lavoro discontinuo, che si riferisce ad attività che non richiedono un impegno continuativo di lavoro (ad esempio portieri, custodi, guardiani, fattorini, ecc.).
Previdenza e assistenza (art. 1, comma 1, lett. r), d.lgs. n. 152/1997)
La riforma prevede che datore di lavoro abbia l’obbligo di informare il lavoratore su “gli enti e gli istituti che ricevono i contributi previdenziali e assicurativi dovuti dal datore di lavoro” e “su qualunque forma di protezione in materia di sicurezza sociale fornita dal datore di lavoro stesso”.
Il Ministero ha chiarito che le informazioni relative alla seconda parte della disposizione dovranno essere fornite dal datore di lavoro anche alla luce della specificità della contrattazione collettiva applicabile al rapporto, rappresentando al lavoratore, ad esempio, la possibilità di aderire a fondi di previdenza integrativa aziendali o settoriali.
Modalità di comunicazione degli obblighi informativi (art. 4, comma 2, del d.lgs. n. 104/2022)
Per quanto concerne le modalità di comunicazione degli obblighi informativi, il Ministero ha rinviato alla circolare INL n. 4/2022, ricordando che è ritenuta ammissibile la comunicazione in modalità informatica.
Prescrizioni minime relative alle condizioni di lavoro
Il Ministero ha precisato, in via preliminare, che le disposizioni sulle prescrizioni minime relative alle condizioni di lavoro costituiscono norme inderogabili e pertanto la contrattazione collettiva può introdurre solo disposizioni più favorevoli.
Si riportano di seguito le disposizioni sulle prescrizioni minime relative alle condizioni di lavoro che sono state analizzate dal Ministero.
Durata massima del periodo di prova (art. 7, d.lgs. n. 104/2022)
L’art. 7 fissa la durata massima del periodo di prova a sei mesi, termine che può essere ridotto dai contratti collettivi, come definiti dall’articolo 51 del d.lgs. n. 81/2015.
Nel caso di contratto a tempo determinato, il periodo di prova è fissato proporzionalmente alla durata massima del contratto, entro i limiti previsti ex lege, e alle mansioni da svolgere in relazione alla natura dell’impiego. In caso di rinnovo del contratto per lo svolgimento delle stesse mansioni, il rapporto di lavoro non può essere soggetto a un nuovo periodo di prova.
Il comma 3 stabilisce che il periodo di prova è prolungato in misura corrispondente alla durata dell’assenza, richiamando – a titolo meramente esemplificativo – la sopravvenienza di eventi quali malattia, infortunio, congedo di maternità/paternità obbligatori.
Il Ministero ha chiarito che l’indicazione di tali assenze non ha carattere tassativo. Dunque, rientrano nel campo di applicazione del comma 3 tutti gli altri casi di assenza previsti dalla legge o dalla contrattazione collettiva, fra cui anche i congedi e i permessi di cui alla legge n. 104/1992.
Ciò risponde al principio di effettività del periodo di prova, in forza del quale è stata riconosciuta valenza sospensiva dello stesso alla mancata prestazione lavorativa causata da malattia, infortunio, gravidanza, puerperio, permessi, sciopero, sospensione dell’attività da parte del datore di lavoro.
Trattandosi di un principio consolidato nell’ordinamento giuridico nazionale, appare evidente che se l’elencazione di cui al terzo comma dell’articolo 7 fosse considerata esaustiva delle ipotesi di sospensione del periodo di prova, si avrebbe una riduzione generale del livello di protezione riconosciuto ai lavoratori, in contrasto con l’articolo 20 della direttiva (UE) 2019/1152. Ciò a ulteriore conferma del fatto che l’elencazione di cui al comma 3 è puramente esemplificativa e non esaustiva delle ipotesi di prolungamento del periodo di prova, nel cui novero si devono intendere ricomprese tutte quelle già riconosciute dall’attuale ordinamento giuridico.
Cumulo di impieghi (art. 8, d.lgs. n. 104/2022)
Secondo quanto stabilito dall’art. 8 del decreto in esame, il datore di lavoro non può impedire al lavoratore di svolgere un’altra attività lavorativa in orario al di fuori della programmazione dell’attività lavorativa concordata, né per tale motivo può riservargli un trattamento meno favorevole.
Le uniche condizioni che consentono al datore di lavoro di “limitare o negare al lavoratore lo svolgimento di un altro e diverso rapporto di lavoro” sussistono quando:
a) vi sia un «pregiudizio per la salute e sicurezza, ivi compreso il rispetto della normativa in materia di durata dei riposi»;
b) sia necessario “garantire l’integrità del servizio pubblico”;
c) “la diversa e ulteriore attività sia in conflitto di interessi con la principale, pur non violando il dovere di fedeltà di cui all’articolo 2105 del codice civile”.
Il Dicastero ha precisato che tali condizioni hanno carattere tassativo e che la loro sussistenza deve essere verificata in modo oggettivo. Pertanto, le predette condizioni devono essere concretamente sussistenti e dimostrabili e non rimesse a mere valutazioni soggettive del datore di lavoro.
Per quanto riguarda l’espressione “integrità del servizio pubblico” – poiché resta ferma, ai sensi dell’articolo 8, comma 4, la disciplina del lavoro pubblico di cui all’articolo 53 del d.lgs. n. 165/2001 – essa è da intendersi limitata a quei servizi pubblici gestiti da enti o società cui non si applica la disciplina dei rapporti di lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche.
Il Ministero ha poi precisato che il “conflitto di interessi” ricorre quando l’ulteriore attività lavorativa, pur non violando il dovere di fedeltà di cui all’articolo 2105 cod. civ., comporti, anche potenzialmente, interessi in contrasto con quelli del datore di lavoro.
Infine, il Ministero ha chiarito che, in ossequio ai principi generali di buona fede e correttezza, spetta al lavoratore informare il datore di lavoro qualora ricorrano talune delle condizioni ostative al cumulo di impieghi.
Prevedibilità minima del lavoro (art. 9, d.lgs. n. 104/2022)
L’art. 9 riguarda i contratti in cui la durata dell’orario di lavoro e la sua collocazione temporale non sono predeterminati. In questi casi, il datore di lavoro o il committente (esclusivamente nell’ambito di contratti di co.co.co. ed etero-organizzati) può imporre al lavoratore di svolgere l’attività lavorativa solo se:
a) il lavoro si svolge entro ore e giorni di riferimento predeterminati;
b) il lavoratore è informato dal suo datore di lavoro o committente sull’incarico da eseguire con il ragionevole periodo di preavviso di cui al nuovo articolo 1, comma 1, lettera p) 3), del d.lgs. n. 152/1997.
Il Ministero ha richiamato il considerando n. 32 della direttiva, il quale esprime l’esigenza che il periodo minimo di preavviso (inteso come il tempo che intercorre tra il momento in cui un lavoratore è informato in merito a un nuovo incarico di lavoro e il momento in cui inizia l’incarico) abbia una durata “ragionevole”. Il Dicastero ha poi precisato che tale periodo può variare in funzione delle esigenze del settore interessato, ferma restando la necessità di garantire in ogni caso l’adeguata protezione dei lavoratori.
Transizione a forme di lavoro più prevedibili, sicure e stabili (art. 10, d.lgs. n. 104/2022)
L’articolo 10, ferme restando le disposizioni più favorevoli già presenti nel nostro ordinamento, ha previsto il diritto per il lavoratore che abbia maturato un’anzianità di lavoro presso lo stesso datore di lavoro e che abbia superato l’eventuale periodo di prova, di poter accedere, ove possibile, ad un rapporto di lavoro più stabile e sicuro.
Il Dicastero ha precisato che la disposizione in esame deve essere letta alla luce del considerando n. 36 e dell’impianto complessivo della direttiva. Il fine del principio in essa contenuto è quello di consentire ai lavoratori, già occupati presso un datore di lavoro con forme contrattuali non particolarmente stabili, di poter transitare, previa espressa richiesta, verso contratti di lavoro che garantiscano maggiore durata e stabilità, a condizione che siano effettivamente disponibili presso il medesimo datore di lavoro.
Formazione obbligatoria (art. 11, d.lgs. n. 104/2022)
L’articolo 11 prevede che la formazione obbligatoria sia garantita gratuitamente a tutti i lavoratori, sia considerata come orario di lavoro e, ove possibile, sia svolta durante lo stesso.
Il Ministero ha precisato che la disposizione non si applica alla formazione professionale e alla formazione per ottenere o mantenere una qualifica professionale, salvo che il datore di lavoro non sia tenuto a fornirla per legge o in base al contratto individuale o collettivo.
Terminata la disamina delle disposizioni sulle prescrizioni minime relative alle condizioni di lavoro, il Dicastero ha svolto le seguenti osservazioni sulle misure di tutela.
Misure di tutela
Il Ministero, in riferimento alle misure di tutela, ha richiamato quanto previsto dall’articolo 14, comma 2, del d.lgs. n. 104/2022.
La predetta disposizione fa riferimento a “misure equivalenti” al licenziamento, intendendosi per esse tutte quelle modifiche, adottate dal datore di lavoro o dal committente in modo unilaterale e a svantaggio del lavoratore, che incidono in modo sostanziale sugli elementi essenziali del contratto di lavoro e sono conseguenti all’esercizio dei diritti previsti dal decreto legislativo in oggetto e dal d.lgs. n. 152/1997 e, comunque, per ragioni estranee al lavoratore (cfr. Corte di Giustizia 11 novembre C- 422/14).
Infine, il Dicastero, per quanto riguarda la disciplina transitoria contenuta all’articolo 16 del decreto in esame, ha operato un rinvio alle indicazioni già espresse nella circolare INL n. 4 del 10 agosto 2022.