Spetta al giudice amministrativo, e non al giudice ordinario, decidere sulla legittimità dell’intervento autoritativo dell’amministrazione, con cui è stata disposta la risoluzione del contratto di appalto, a causa del venir meno dei requisiti di qualificazione dell’affidatario.
È quanto deciso dal Consiglio di Stato, sez. V, 27 gennaio 2022 n. 590, che, accogliendo l’appello, ha rimesso al giudice amministrativo di primo grado la decisione sulla legittimità del provvedimento di risoluzione del contratto di appalto nei confronti dell’impresa aggiudicataria.
In particolare, nel caso di specie, l’amministrazione, accertata l’ultra-vigenza dell’attestazione SOA scaduta, aveva stipulato il contratto di appalto nel presupposto (cioè, sub condicione) della produzione in un secondo momento della nuova attestazione. Tuttavia, la mancata produzione della stessa, entro il termine di ultra-vigenza della precedente attestazione, aveva comportato la perdita del requisito di partecipazione e, conseguentemente, l’invalidazione in autotutela dell’aggiudicazione.
In primo grado, il TAR Toscana aveva dichiarato il ricorso dell’appaltatrice inammissibile per difetto di giurisdizione, poiché il venir meno dei requisiti di qualificazione riguardava la fase di esecuzione dell’opera pubblica e quindi incideva su diritti soggettivi (sent. Sez. I, n. 1322/2020).
In particolare, nella sentenza, il TAR aveva chiamato a supporto della propria decisione la giurisprudenza che reputa:
Il Consiglio di Stato ritiene che la suddetta giurisprudenza non possa essere seguita nel caso specifico, confermando la natura provvedimentale della determinazione che dispone l’annullamento d’ufficio dell’aggiudicazione e nello scioglimento del vincolo contrattuale.
Infatti, nella vicenda sottoposta all’attenzione del Collegio, mancano – e quindi non è giustificabile l’intervento del giudice ordinario – sia la lesione del diritto soggettivo dell’amministrazione alla corretta esecuzione del contratto (causata dell’inadempimento dell’appaltatore) sia la posizione paritetica delle parti.
Di converso, giustificano l’intervento del giudice amministrativo il fatto che la stazione appaltante abbia adottato una determinazione con natura di provvedimento amministrativo, non solo in senso formale, incidente su una posizione di interesse legittimo dell’impresa appaltatrice; ciò, prescindendo dalle clausole del contratto e quindi dall’eventuale sussistenza di un diritto soggettivo. Inoltre, tale determinazione consegue alla verifica della correttezza della stessa aggiudicazione ossia ad una determinazione prodromica della stessa amministrazione in sé considerata (cfr. Cass. S.U., 14 maggio 2015, n. 9861).
Il Collegio conclude quindi che proprio l’estraneità dell’atto alla sfera del diritto privato e l’esercizio del potere amministrativo (relativo alla corretta selezione del contraente) portano la controversia ad essere soggetta alla giurisdizione del giudice amministrativo, ai sensi dell’art. 7 Cod. proc. amm. (cfr. Cass. S.U., 29 agosto 2008, n. 21929).
Tale posizione appare coerente con la giurisprudenza (richiamata nella sentenza) secondo cui, indipendentemente dalla stipula o meno del contratto di appalto, deve essere riconosciuta la giurisdizione del:
In quest’ultimo caso, osserva il Consiglio di Stato, il potere dell’amministrazione si origina dalle norme generali in tema di esercizio dei poteri di autotutela (cfr. art. 21 nonies della L. 241/1990) e dal codice dei contratti pubblici, laddove prevede la risoluzione del contatto di appalto per insussistenza (originaria o sopravvenuta) dei requisiti soggettivi dell’aggiudicatario (cfr. art. 108, commi 1 e 2, del d.lgs. n. 50/2016 e Cons. Stato, Comm. Speciale, parere 1° aprile 2016, n. 855). In tal modo, il codice dei contratti consente l’intervento autoritativo dell’amministrazione anche dopo la stipulazione del contratto (onde rimuovere il provvedimento di aggiudicazione che risulti affetto da vizi), con conseguente inefficacia di quest’ultimo, stante la consequenzialità tra aggiudicazione e stipulazione del contratto (cfr. Cons. Stato, Sez. III, 22 marzo 2017, n. 1310).
Conclude quindi il Consiglio di Stato: deve essere il giudice amministrativo a decidere sulla legittimità del provvedimento dell’amministrazione, con il quale si è contestato alla ricorrente il venir meno dei requisiti di qualificazione e si è disposta la risoluzione del contratto di appalto.
Spetta al giudice amministrativo, e non al giudice ordinario, decidere sulla legittimità dell’intervento autoritativo dell’amministrazione, con cui è stata disposta la risoluzione del contratto di appalto, a causa del venir meno dei requisiti di qualificazione dell’affidatario.
È quanto deciso dal Consiglio di Stato, sez. V, 27 gennaio 2022 n. 590, che, accogliendo l’appello, ha rimesso al giudice amministrativo di primo grado la decisione sulla legittimità del provvedimento di risoluzione del contratto di appalto nei confronti dell’impresa aggiudicataria.
In particolare, nel caso di specie, l’amministrazione, accertata l’ultra-vigenza dell’attestazione SOA scaduta, aveva stipulato il contratto di appalto nel presupposto (cioè, sub condicione) della produzione in un secondo momento della nuova attestazione. Tuttavia, la mancata produzione della stessa, entro il termine di ultra-vigenza della precedente attestazione, aveva comportato la perdita del requisito di partecipazione e, conseguentemente, l’invalidazione in autotutela dell’aggiudicazione.
In primo grado, il TAR Toscana aveva dichiarato il ricorso dell’appaltatrice inammissibile per difetto di giurisdizione, poiché il venir meno dei requisiti di qualificazione riguardava la fase di esecuzione dell’opera pubblica e quindi incideva su diritti soggettivi (sent. Sez. I, n. 1322/2020).
In particolare, nella sentenza, il TAR aveva chiamato a supporto della propria decisione la giurisprudenza che reputa:
Il Consiglio di Stato ritiene che la suddetta giurisprudenza non possa essere seguita nel caso specifico, confermando la natura provvedimentale della determinazione che dispone l’annullamento d’ufficio dell’aggiudicazione e nello scioglimento del vincolo contrattuale.
Infatti, nella vicenda sottoposta all’attenzione del Collegio, mancano – e quindi non è giustificabile l’intervento del giudice ordinario – sia la lesione del diritto soggettivo dell’amministrazione alla corretta esecuzione del contratto (causata dell’inadempimento dell’appaltatore) sia la posizione paritetica delle parti.
Di converso, giustificano l’intervento del giudice amministrativo il fatto che la stazione appaltante abbia adottato una determinazione con natura di provvedimento amministrativo, non solo in senso formale, incidente su una posizione di interesse legittimo dell’impresa appaltatrice; ciò, prescindendo dalle clausole del contratto e quindi dall’eventuale sussistenza di un diritto soggettivo. Inoltre, tale determinazione consegue alla verifica della correttezza della stessa aggiudicazione ossia ad una determinazione prodromica della stessa amministrazione in sé considerata (cfr. Cass. S.U., 14 maggio 2015, n. 9861).
Il Collegio conclude quindi che proprio l’estraneità dell’atto alla sfera del diritto privato e l’esercizio del potere amministrativo (relativo alla corretta selezione del contraente) portano la controversia ad essere soggetta alla giurisdizione del giudice amministrativo, ai sensi dell’art. 7 Cod. proc. amm. (cfr. Cass. S.U., 29 agosto 2008, n. 21929).
Tale posizione appare coerente con la giurisprudenza (richiamata nella sentenza) secondo cui, indipendentemente dalla stipula o meno del contratto di appalto, deve essere riconosciuta la giurisdizione del:
In quest’ultimo caso, osserva il Consiglio di Stato, il potere dell’amministrazione si origina dalle norme generali in tema di esercizio dei poteri di autotutela (cfr. art. 21 nonies della L. 241/1990) e dal codice dei contratti pubblici, laddove prevede la risoluzione del contatto di appalto per insussistenza (originaria o sopravvenuta) dei requisiti soggettivi dell’aggiudicatario (cfr. art. 108, commi 1 e 2, del d.lgs. n. 50/2016 e Cons. Stato, Comm. Speciale, parere 1° aprile 2016, n. 855). In tal modo, il codice dei contratti consente l’intervento autoritativo dell’amministrazione anche dopo la stipulazione del contratto (onde rimuovere il provvedimento di aggiudicazione che risulti affetto da vizi), con conseguente inefficacia di quest’ultimo, stante la consequenzialità tra aggiudicazione e stipulazione del contratto (cfr. Cons. Stato, Sez. III, 22 marzo 2017, n. 1310).
Conclude quindi il Consiglio di Stato: deve essere il giudice amministrativo a decidere sulla legittimità del provvedimento dell’amministrazione, con il quale si è contestato alla ricorrente il venir meno dei requisiti di qualificazione e si è disposta la risoluzione del contratto di appalto.